La genti lu chiamava Colapisci
pirchì stava ‘nto mari comu ‘npisci
dunni vinìa non lu sapìa nissunu
fors’ era figghiu di lu Diu Nittunu
Parla il Gran Conte Ruggero
“Avevo preso il mare per andare ad accogliere mia sorella Boemonda che mi aspettava a Reggio Calabria quando sentii parlare per la prima volta di Cola Pesce. Un giovane uomo le cui prodezze di nuotatore erano leggendarie su entrambe le coste dello Stretto. Si diceva che vivesse quasi tutta la giornata in acqua, che potesse restare diverse ore immerso e alcuni marinai giuravano anche che avesse delle branchie sotto le orecchie”
La fama di Nicola, giovane marinaio messinese, conosciuto per le sue prodezze sott’acqua, arrivò alle orecchie di Federico II di Svevia che decise di inviare la sua corte per avere un rendiconto di questo personaggio che fino ad allora sembrava frutto dell’immaginazione dei marinai dello Stretto di Messina.
Ruggero e Boemonda dalla loro galera videro un uomo aggrappato al fianco di un delfino ridente; fu fatto salire a bordo per scrutare il suo strano aspetto. Pelle scura, con a tratti riflessi iridati tipo squame, occhi sporgenti, guancie cascanti, labbra enormi e testa che ricordava vagamente una triglia. I capelli lunghi e ingarbugliati sembravano una matassa di alghe.
Il fisico era asciutto e ben proporzionato e appena iniziò a parlare con voce melodiosa come modulata dai flutti dell’acqua, raccontò delle strane creature che vivevano l’abisso del mare, tonni, pesci spada, balene, e il temibile Calamaro gigante che giace nei fondali dello Stretto e i cui tentacoli, quando la sua testa tocca Messina, arrivano fino in Calabria.
“Colapisci curri e và. Vaiu e tornu maestà!”
Ruggero, infastidito da queste esagerate vanterie, prese la coppa da cui aveva finito di bere e la scagliò al di là del parapetto dell’imbarcazione, intimando Cola Pesce di andarla a recuperare. Il nostro si tuffò e non solo recuperò la coppa ma rivelò che stava all’imbocco di una grotta sottomarina dalla quale fuoriusciva acqua bollente.
Ruggero, volle sfidare nuovamente il ragazzo, slacciò dal suo collo la pesante catena d’oro e pietre preziose scagliandola con veemenza in acqua e Cola Pesce, senza esitare si rituffò per recuperarla. Passò un’intera notte senza notizie dell’abile pescatore. Ma giunta l’alba ecco l’indomito aggrapparsi alla cima che era stata lanciata per issarlo sulla nave. La collana di Ruggero cingeva il collo di Colapesce.
“Maestà, non mandatemi giù: il mare è così vorticoso che, se mi immergo, non ritornerò più”
Questa volta il suo racconto fu ancora più stupefacente.
Mentre ancora ansimava, descrisse il prodigioso fuoco sotterraneo, una fiamma ardente simile a quella che scaturisce dall’Etna, oltre vi era una prateria sottomarina dal quale si stagliavano tre pilastri alti come montagne. Alzando gli occhi Cola Pesce si accorse che essi sostenevano la Sicilia intera.
La colonna più a nord era nera come l’ossidiana, la seconda, verso sud era di granito ma si stava sbriciolando su un lato, la terza, a occidente era intaccata alla base e cigolava, forse corrosa dal fuoco sottomarino; se un giorno la lava fosse colata fin là il pilastro si sarebbe sbriciolato e la Sicilia sarebbe sprofondata in mare.
Nel posto dove doveva esserci una quarta colonna si apriva la bocca di un pozzo profondo dal quale Cola Pesce ebbe recuperato la collana.
Laggiù negli abissi, che sorpresa!
Boemonda, in un gioco di sfida e seduzione, si sfilò il prezioso anello che aveva al dito e lo fece cadere oltre il bordo della nave. Il povero Cola Pesce, benché esausto, salto il parapetto e scomparve in acqua. Passò un altro giorno in mare; Cola Pesce non riemerse più. Dopo due giorni al largo Ruggero fece issare le vele per raggiungere Messina. Assalito dal rimorso di aver mandato il giovane verso morte sicura, il Gran Conte lo sognava spesso.
Cola Pesce era rimasto sott’acqua, per sorreggere la colonna consumata onde evitare che l’isola sprofondasse e quindi ancora oggi si troverebbe negli abissi a sopportare il peso dell’intera isola di Sicilia.
Su passati tanti anni
Colapisci è sempri ddà
Maestà! Maestà!
Colapisci è sempri ddà
Fortuna di una leggenda che travalica i secoli
Sono numerose le versioni di questa leggenda, fra XII e il XIII secolo, con diverse analogie, fra cui la provenienza: Italia meridionale, Puglia, Campania e soprattutto Sicilia; il nome del protagonista: Nicola per il poeta provenzale Raimon Jordan; Nicolaus detto Pipe per la tradizione letteraria inglese; il fatto che il mare sia il suo ossigeno e che sia intento ad esplorare il fondo marino alla ricerca di oggetti da riportare alla luce. E infine la sua fama che lo rende oggetto di stupore per i sovrani dell’epoca, Ruggero II nella versione siciliana, Guglielmo II o addirittura Federico II di Svevia in altre.
Frate Salimbene de Adam che visse a Parma nel XIII secolo, riferisce fatti narrati dai confratelli messinesi, segno che a partire da allora su Nicola homo Siculus esisteva già una tradizione orale secondo cui il re di Sicilia Federico II ordinava al giovane pescatore di Messina di riportargli la coppa d’oro che scagliava sempre più in profondità fino a ché Nicola non riemerse più dagli abissi.
In questa versione compare per la prima volta il personaggio della madre di Nicola che, vedendolo sempre in mare, lo maledice in preda alla stizza. Il soprannome Pesce appare invece nel Chronicon di Francesco Pipino, un viaggiatore bolognese del XIII secolo
In pieno umanesimo Gioviano Pontano narra nel poemetto Astronomico le gesta del mitico Colas, generato dagli scogli del Peloro che per natura ama immergersi in mare fra i gorghi vorticosi.
“Vedendo il giovane che taglia sicuro le onde, Galatea allibisce, Aretusa nasconde il capo nel fiume di vetro, Scilla, presa dalla paura, serra le cento bocche e si chiude nell’antro. Durante una festa, il re lancia una grande coppa là dove latra Cariddi. Cola si tuffa, pesca la coppa e sta per portarla alla luce quando Cariddi lo cinge con la sua coda e lo trascina nell’antro”.
Colapesce nel mondo
Nel XVI secolo la leggenda di Cola Pesce fa la sua apparizione in Spagna, le avventure di Pesce Cola un pescatore medio hombre, y medio pescado, si collocano a Rota a due leghe da Cadice dove ancora vivono i suoi discendenti. Anche nel don Qujote si fa cenno alle sue prodezze marine.
Alle storie legate a questo personaggio, “una delle più conosciute, e da secoli e secoli […] raccontata per filo e per segno”, il Pitrè dedica ben 173 pagine della sua ricchissima Silloge.
La dettagliata descrizione che lo studioso fa, e le ben 17 versioni popolari della storia di Cola Pesce raccolte nella sola area del messinese, sono esempio della fortuna di cui essa ha goduto a partire dal XII secolo.
Da Tommaso Fazello al fisico tedesco Atanasius Kirkner – che ci dà un resoconto fra i più dettagliati, ricco di circostanze e particolari – da Schiller a Goethe sono stati tantissimi fra letterati, scienziati, teologi, storici, filosofi a dare una versione più o meno personale della leggenda del mitico nuotatore, fino ad arrivare ai giorni nostri con Leonardo Sciascia che ne ha tratto una fiaba deliziosa e Italo Calvino che ne ha rielaborato la storia in un racconto fantastico.
Ancora adesso quando osserviamo un nuotatore provetto non esitiamo a chiamarlo Cola Pesce!
Colapesce è una fantastica leggenda Siciliana. E come tutte le leggende ha qualcosa di vero, un pezzo si Sicilia, una visuale di carattere. Una rappresentazione di una’ identità. Identità che io personalmente ho mantenuto anche all’estero ., ma che viene rafforzata nel trovare poi in altri luoghi quelli che manca è nel scoprire che in Sicilia è al popolo Sicilia in non manca nulla. Anzi la ricchezza è tale , e inestimabile da non necessitare una ricerca altrove.