Il centro storico più grande d’Europa
Palermo vanta il centro storico più grande d’Europa, primato strappato a Lisbona, e custodisce al suo interno scrigni di un patrimonio che merita ben più ampia considerazione di quella in cui versa oggi. Per fortuna da un decennio a questa parte c’è maggiore cura per i luoghi storici.
Il recupero di chiese, monumenti e palazzi lungo gli assi di Via Maqueda e Corso Vittorio Emanuele, ha sancito la creazione di una sorta di museo diffuso che, partendo dal quartiere della Loggia attraversa una porzione di territorio, geograficamente delimitata tra Via Roma e il mare, dove sorgono diversi gioielli architettonici.
La Palermo seicentesca, che ha il suo centro ideale in Piazza Vigliena, dove si intersecano i celeberrimi Quattro Canti, è suddivisa in quattro mandamenti: a nord-ovest il Monte di Pietà, a nord-est il Castellammare, a sud-est i Tribunali e a sud-ovest il Palazzo Reale. Ogni mandamento venne messo a protezione di una santa, rappresentata da una statua posta su ognuna delle facciate dei Quattro Canti. Sui prospetti affacciati sulla piazza si possono riconoscere le figure di Santa Ninfa, Sant’Oliva, Sant’Agata e Santa Cristina.
Il quartiere della Loggia
Nella toponomastica cittadina, resta tuttavia il ricordo dei quartieri medievali, ai quali si sovrapposero i quattro mandamenti: la Loggia, la Kalsa, il Seralcadio, l’Albergheria e il Càssaro. Dei quattro quartieri, quello della Loggia era sicuramente il più vivace per la sua attitudine prettamente commerciale e mercantile, da cui è scaturita una vitalità artistica che non ha avuto più eguali nella storia della città.
Piazze, vie ed edifici raccontano dell’intensa vita commerciale che si svolgeva nella zona, sede delle rappresentanze delle varie nazioni: genovesi, pisani e amalfitani costruiscono fondaci, magazzini, cappelle e logge mercantili, simbolo di potenza e supremazia economica.
…chiese, palazzi e oratori
Nascono in quell’epoca oratori, finanziati da confraternite religiose, chiese e conventi, simbolo della potenza dei diversi ordini.
L’Oratorio del Rosario in San Domenico, la chiesa di San Giorgio ai Genovesi, l’oratorio del Rosario in Santa Cita, la chiesa di santa Maria in Valverde sono alcuni di questi tesori. Sorgono ancora palazzi nobiliari, fontane e scenografie urbane che riecheggiano la monumentalità della Roma del Bernini.
Nasce in questo contesto la figura del poliedrico artista Giacomo Serpotta, genio palermitano interprete dei legami della sua città col clima culturalmente vivace che vede l’opera sia di artisti siciliani, come l’architetto Paolo Amato, che di fama internazionale come Antoon Van Dick, Filippo Paladini, Pietro Novelli, Matthias Stom, attratti dal fascino del paesaggio, dal clima favorevole, ma soprattutto da una committenza colta e raffinata che amava l’arte e che voleva rinnovare la città.
Una vera gara ebbe luogo a cavallo fra seicento e settecento fra le varie congregazioni religiose di Palermo formate da commercianti, patrizi e uomini di legge; una gara per l’edificazione, la decorazione, il fasto degli oratori e delle chiese. Chiamati apposta arrivarono in città celebri artisti italiani e stranieri, l’arte dei quali influenzò e modificò quella siciliana. Ma specialmente uno scultore, Giacomo Serpotta, conteso fra le varie confraternite, lasciò negli oratori una moltitudine di opere pregevoli tutte di un particolare gusto.
Giacomo Serpotta
È qui, nel reticolo di vie che collega la Loggia al mare che si palesa l’estro di Giacomo Serpotta. Stuccatore palermitano nato nel 1656 nel quartiere della Kalsa da una famiglia di marmorari, noti in città per talune opere in stucco di discreta fattura, fu lui a dare nuova dignità e pregio artistico all’arte dello stucco, relegata fino ad allora a manierismo e imitazione dei plastificatori comaschi. I suoi predecessori furono Gaspare La Farina e la famiglia dei Surfarello, mediocri elaboratori provinciali e pedissequi, lontani dai virtuosismi eleganti e magistrali che caratterizzano gli apparati decorativi realizzati dal Serpotta negli Oratori di San Lorenzo, del Rosario in Santa Cita e in San Domenico.
Melting pot a due passi dal porto
È attraverso l’itinerario degli oratori serpottiani che si può cogliere il clima vivace della capitale del viceregno di Sicilia, dove domina la presenza di un crogiuolo di popoli e nazioni diverse, un vero e proprio melting pot, dove catalani, pisani, alemanni, fiamminghi, fiorentini, milanesi, facevano a gara, in virtù delle non indifferenti possibilità economiche, per dare mostra concreta del loro status economico.
Nel quartiere della Cala, operano i marmorari e le famiglie di stuccatori, nel quartiere della Loggia, invece ci sono le botteghe di ebanisti, intarsiatori di mischi e pietre dure, ma soprattutto orafi e argentieri. Non a caso la via principale muta il suo nome in Via dell’Argenteria Nuova, strada che trova il suo fulcro nella risistemazione intorno al 1697 della Piazzetta del Garraffo, opera di Paolo Amato, con la fontana da cui si erge l’allegoria dell’abbondanza coi frutti copiosi della sua cornucopia.
Compagnie, congregazioni, confraternite
La nascita degli oratori, commissionati da associazioni di laici con la doppia funzione sociale e religiosa, è legata alla presenza a Palermo di antiche organizzazioni, che trovarono nel clima della Controriforma, lo spirito adatto per la creazione di opere di misericordia, dove si associa alla preghiera pratica delle pie opere cristiane, come dare supporto ai poveri e seppellire i morti.
Le norme canoniche, la struttura interna, e il programma differenziano le confraternite dalle associazioni e dalle compagnie. Le prime, autorizzate dal vescovo sono rette da quattro rettori che stabiliscono le regole, dette capitoli, e sono legate a maestranze di lavoratori cui appartengono gli adepti.
Le altre due sono abbastanza simili, le congregazioni sono legate al culto mariano e trovano dimora presso i conventi, rette da un uomo di chiesa e dopo la controriforma divennero paladini della dottrina contro il protestantesimo. Le compagnie sono gli organi associativi per eccellenza, vi fanno parte gli uomini più potenti e autorevoli della città: ricchi mercanti, principi di curia, nobili; accedere è molto difficile e selettivo.
Ai vertici della struttura gerarchica vi stanno tre Consiglieri o Superiori, una forma di supremazia parallela che prospera e sopperisce in caso di difficoltà dello stato. Le cospicue rendite in loro possesso permisero di commissionare diverse opere d’arte affidandoli ai grandi nomi del panorama artistico internazionale.
L’oratorio di San Lorenzo
Uno dei più famosi oratori serpottiani e quello di San Lorenzo edificato nel 1570 dalla compagnia di San Francesco per seppellire i morti del quartiere Kalsa. Gli stucchi di Giacomo Serpotta realizzati più di un secolo dopo si mostrano in tutta la straripante ricchezza inventiva raggiungendo il punto più alto della sua arte: virtù, putti, angeli, colonne e ghirlande, espressione di un fine barocco, fino a giungere al rococò.
A San Lorenzo aveva preceduto l’artista palermitano pochi decenni prima, Michelangelo Merisi da Caravaggio, autore della celebre Natività con i santi Lorenzo e Francesco, posta sopra l’altare e trafugata nella notte del 18 ottobre 1969. Per il resto, le pareti dell’oratorio attendevano la decorazione dello stuccatore, Gagini Raggi e Bernini sono i nomi che si fanno comunemente a proposito dei maestri del Serpotta.
Artista alla moda nella Palermo del seicento, cadde su di lui l’oblio fino a quando la sua fama venne sprovincializzata dal grande critico d’arte Pier Giorgio Argan che lo ha definito uno dei più grandi artisti siciliani insieme ad Antonello da Messina.
Serpotta è artista sommo, nel suo tempo e nella sua tecnica di stuccatore, primo in Europa. La Sicilia del terremoto manterrà viva l’arte barocca. La Spagna manterrà alla Sicilia un fermo carattere ed una grande coerenza. Non l’Austria e nemmeno il nuovo regno avranno per la Sicilia questi riguardi.